Introduzione ai Paradisi artificiali

Nella molteplicità degli oggetti e delle cose che presenti in natura sono stati trasformati, creati e  ricreati artificialmente dall'uomo per soddisfare le proprie esigenze di controllo e di dominio sulla natura stessa, sicuramente il tema del Paradiso non parrebbe a prima vista appartenere a questa categoria. Ho scritto "tema", perché trattasi sicuramente di argomento vasto - dissertato infinite volte nel corso della storia, che permea ed ha intriso la genesi e l'evoluzione della cultura e del pensiero occidentale (e non solo; ritroviamo infatti in ogni popolo primitivo o contemporaneo del nostro globo una concezione del Paradiso, come vedremo in seguito), la cui origine si perde nei secoli e si intreccia e si fonde inevitabilmente nel mito -  ma lo scopo di questa introduzione è quello di provare a donare una diversa chiave di lettura alla parola e di far intendere il Paradiso come oggetto naturale e tangibile, da cui quindi può essere ritrovato il corrispettivo artificiale. 
Se può essere facile trovare il corrispettivo artificiale di arto (arto artificiale), organo (organo artificiale), diamante, foglie, fiori, piante, bulbi, neve, ghiaccio ecc., così non è per Paradiso: è infatti prima necessario stabilire cosa possa essere in natura per poi rivestirlo di una certa dose di materialità, prima di ricercarlo nell'artificiale di umana fattura. 
La ricerca etimologica della parola dall'Enciclopedia Treccani (link) è chiarificatrice:

dal persiano pairidaeza, da cui anche l'ebraico pardeš, attraverso il greco παράδεισος, con il significato primitivo di "giardino recinto", "verziere", "parco"

Ecco come l'esistenza in natura ricercata per giustificare la scelta di approfondire l'oggetto "Paradiso" non solo traspare, ma è chiaramente alla base del significato stesso della parola. La dimensione che assumono le connotazioni "giardino recinto", "verziere" e "parco", è strettamente correlata alla materialità, a luoghi che esistono in natura, legati a caratteri concreti, tangibili e sensibili (ammettendo che i sensi siano il primo approccio alla conoscenza - Sant'Agostino).

Un'altra riflessione che vorrei fare, per dimostrare l'origine naturale del Paradiso, parte da una critica alla mitologia religiosa, tradizione consolidata nella filosofia greca, citando un frammento da Senofane:

               Ma se i buoi e i cavalli e anche i leoni avessero mani,
               e con le mani potessero dipingere e compiere le opere che compiono gli uomini,
               i cavalli dipingerebbero immagini di dei simili a cavalli,
               e i buoi simili a buoi, e plasmerebbero i corpi degli dei tali quali essi stessi hanno,
               ciascuno secondo il proprio aspetto.

[I presocratici, DK 21 B 15] 

Questo breve ma illuminante passo ci mostra come anche nell'immaginare, ad esempio, la forma di entità superiori o di esseri extraterrestri, l'uomo non potrebbe immaginare qualcosa di inesistente alla sua realtà sensibile, così come anche la concezione del Paradiso non può che derivare necessariamente da un'esperienza che ha maturato nel mondo, quindi da qualcosa presente in natura. Ed è chiaro che ai tempi remoti del mito, la sopravvivenza e la ricerca di un luogo ricco di cibo e d'acqua, rappresentassero quella che col passare del tempo ha poi assunto la connotazione di ricchezza (puramente materiale), che è appunto un mezzo per assicurarsi i beni primari della vita, un concetto distorto di sopravvivenza. 
Il Paradiso ha quindi un'origine naturale e reale, che deriva probabilmente dal sogno di trovare una terra su cui stabilirsi e vivere senza preoccupazioni in abbondanza ed in felicità, di cui tutte le culture hanno memoria: <<I libri sacri dell’India e il Mâhâbârata celebrano l’aureo monte Meru da cui sgorgano quattro fiumi, che si spandono poi verso le quattro plaghe del cielo, e sulle cui giogaje eccelse olezza e risplende, incomparabile paradiso, l’Uttara Kuru, dimora degli dei, prima patria degli uomini, sacra ai seguaci del Budda non meno che agli antichi adoratori di Brama. Gli Egizii, a cui forse appartenne in origine la immaginazione degli Orti delle Esperidi, serbavano lungo ricordo di una età felicissima, vissuta dagli uomini sotto la mite dominazione di Râ, l’antichissimo dio solare. L’Airyâna vaegiâh, che sorgeva sull’Hara-berezaiti degl’Irani, fu un vero Paradiso terrestre, innanzi che il fallo dei primi parenti e la malvagità d’Angrô-Mainyus l’avessero trasformato in un bujo e gelido deserto; e nell’Iran, e nell’India, come in Egitto, durava il ricordo di una prima età felicissima. I Cinesi coronarono il Kuen-lun di un paradiso, ove sono parecchi alberi meravigliosi e d’onde sgorgano parecchi fiumi. Nelle tradizioni religiose degli Assiri e dei Caldei il mito appare con sembianze che non si possono non riconoscere come simili affatto a quelle del mito biblico. Greci e Latini favoleggiarono dell’età dell’oro, dei regni felici di Crono e di Saturno, e di più terre beate. Non giova moltiplicar questi cenni: in tutte così fatte immaginazioni noi troviamo elementi comuni che si compongono insieme o si suppliscono a vicenda, alberi e frutti datori di vita e di scienza, fontane d’immortalità o di giovinezza, fiumi che si spargono intorno a fecondare la terra, mitezza e giocondità di cielo, riso perpetuo di natura, un divieto, una trasgressione, una caduta; – una breve felicità originale a cui sussegue lunga e crescente miseria>> tratto da, A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del medioevo, Loescher, Roma, 1892-1893.

Cosa sono quindi, e come si manifestano i Paradisi che non hanno origine naturale, ovvero i Paradisi artificiali?
Il primo rimando è sicuramente all'opera di C. Baudelaire (Les Paradis artificiels), in cui Paradisi artificiali sono le visioni create dalla mente e nella mente ma per mezzo di artefatti che sono artificiali e non naturali, in questo caso oppio, hashish e vino. Sono da intendersi come aiuti all'immaginazione per raggiungere diverse prospettive con cui rivolgersi alla realtà della vita a cui ogni uomo <<è tratto, per virtù spontanea di fantasia, a immaginare uno stato di vita assai più felice di quello toccatogli in sorte, e a porre quella felicità assai remota da sè, o nello spazio o nel tempo>>, come scrive A. Graf (op. cit.), pur non riferendosi alle droghe, ma alla ricerca - insita nella natura umana, di migliorare le proprie condizioni sociali ed economiche - della felicità e della spensieratezza ai tempi dell'immortalità del genere umano (J. Milton, Paradiso perduto, Mondadori, Milano, 2017).
Se, come abbiamo detto, l'immagine indotta da fattori esterni materiali è da assimilare all'artificiale, anche la realtà materiale concepita, architettata e costruita dall'uomo può farci credere di essere ritornati al luogo di beatitudine per antonomasia, che la cristianità identifica come "giardino in Eden" (Genesi, II, 8 e segg.): basti pensare ai cosiddetti "resort" (link), moderna espressione di "Paradisi terrestri" artificiali - in cui si vuole ricreare una sorta di ritorno alla vita della primitiva coppia umana in armonia con tutto il creato - così come grandi opere architettoniche del passato, come il Taj Mahal, che pur non essendo legato alla cristianità, rappresenta il volere di ricongiungersi con l'Onnipotente. Forzando un po' l'immaginazione si può pensare al Paradiso artificiale anche come realizzazione utopica di una società perfetta, governata da leggi virtuose che rendono virtuosi chi ne è assoggettato (su cui argomentano Platone e Aristotele), ritornando quasi all'idea del mondo edonico, che però ricordiamo era in origine riferito ad un oggetto e luogo fisico, concreto.

Spero che questo embrionale studio distintivo di Paradiso, naturale e artificiale, possa essere ritenuto concettualmente valido e mi propongo di pubblicare in futuro diversi approfondimenti relativi al tema, cercando di non trattare, se non per necessità, delle innumerevoli dispute teologiche che si sono succedute nei secoli, non essendo questo il fine dei miei scritti.

Stefano Simeone

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